Operazione antiterrorismo

Viterbo, smantellata rete mafiosa turca: quattro arresti legati a Baris Boyun

Nuovi arresti a Viterbo nell'ambito dell'inchiesta sulla mafia turca guidata da Baris Boyun, già detenuto al 41 bis. Le accuse includono terrorismo e traffico di armi

Viterbo, smantellata rete mafiosa turca: quattro arresti legati a Baris Boyun

L’operazione, condotta a Viterbo, ha portato all’arresto di quattro individui collegati alla rete mafiosa turca guidata da Baris Boyun, il boss già detenuto al regime del 41 bis a seguito del suo arresto a Bagnaia. Gli arresti sono il risultato di ulteriori indagini successive a un vasto blitz che aveva precedentemente condotto all’incarcerazione di 19 persone.

Dettagli dell’operazione e accuse

L’ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita nei confronti di quattro uomini, tutti di nazionalità turca, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Milano, sotto la direzione del pubblico ministero Bruna Albertini. Durante l’operazione, sono state effettuate perquisizioni in abitazioni e altri luoghi a disposizione degli indagati su tutto il territorio nazionale, compresa la Tuscia.

Uno degli indagati era già in stato di detenzione per un mandato di arresto internazionale e deve rispondere di accuse particolarmente gravi, tra cui associazione a delinquere con finalità di terrorismo e associazione a delinquere aggravata dalla transnazionalità. Le accuse includono detenzione e porto abusivo di armi, anche clandestine, traffico internazionale di armi, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, omicidi, stragi, traffico di stupefacenti, riciclaggio e falsificazione di documenti. Anche gli altri tre arrestati sono accusati di questi reati, con due di loro che sono stati trasferiti in carcere.

Sviluppi investigativi e collegamenti internazionali

L’attività investigativa rappresenta la prosecuzione di indagini precedentemente svolte dagli investigatori della Sezione Investigativa del Servizio Centrale Operativo (Sisco) di Milano, della squadra mobile di Como e del servizio centrale operativo di Roma. L’indagine madre, risalente a maggio 2024, aveva portato all’arresto di 19 cittadini turchi, alcuni dei quali risiedevano stabilmente in Italia, con a capo il boss della mafia turca Baris Boyun. Quest’ultimo è attualmente sotto processo davanti alla corte d’assise di Milano con l’accusa di banda armata con finalità di terrorismo, per aver compiuto e organizzato numerosi attentati in Turchia e omicidi anche in altri paesi, tra cui la Germania.

Secondo il procuratore Marcello Viola, i reati contestati erano finalizzati a destabilizzare lo stato turco e a creare allarme sociale anche in Europa. Il blitz di maggio 2024 aveva coinvolto, oltre a Bagnaia, diversi comuni della provincia di Viterbo, tra cui Vetralla, Montefiascone, Tuscania e Nepi. L’unico italiano coinvolto, il 32enne viterbese Giorgio Meschini, è stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione con rito abbreviato. Nella sentenza a carico degli imputati già condannati, il giudice Domenico Santoro ha descritto il gruppo mafioso come “pericolosissimo”, con a disposizione un “elevatissimo numero di armi”, capace di “attrarre sodali in Italia mediante la violazione delle normative sull’immigrazione” e con “ricchi collegamenti sia con cellule presenti” in Italia e “non del tutto disarticolate”, sia con altre in Europa.

Le nuove indagini hanno fatto emergere altri quattro profili, ritenuti parte del medesimo gruppo criminale di matrice turca, all’interno del quale svolgevano diversi compiti, con particolare attenzione al traffico di armi e droga, e all’immigrazione clandestina. I quattro si spostavano continuamente tra diverse zone d’Italia e in altri paesi europei. La loro identificazione è stata possibile grazie ad attività tecniche, al lavoro di pedinamento e controllo svolto da 50 agenti del Servizio Centrale Operativo di Roma, della sezione investigativa Sco di Milano, della mobile di Como, con il supporto dei colleghi di Viterbo e Pistoia, dei reparti prevenzione crimine Lazio e Toscana, e dell’Unità Operativa di Primo Intervento. Un contributo significativo alle indagini è arrivato anche dallo scambio di informazioni con altri paesi.

Le origini dell’indagine e il profilo di baris boyun

L’indagine che ha portato ai primi 19 arresti è iniziata nell’ottobre 2023, in seguito all’arresto di tre presunti membri dell’organizzazione mentre tentavano di raggiungere la Svizzera. I tre erano in possesso di due pistole, di cui una clandestina, munizioni e materiale di propaganda. Gli accertamenti successivi hanno rivelato che i tre stavano scortando Boyun e la sua compagna, che viaggiavano su un’altra auto. Nonostante fosse agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico per detenzione e porto di arma comune da sparo, Boyun avrebbe continuato a dirigere e coordinare la sua rete dall’Italia.

Baris Boyun, nato a Beyoglu, in Turchia, l’8 giugno 1984, è un dissidente curdo di 41 anni. Nel 2022 è stato arrestato a Rimini in esecuzione di un mandato di cattura internazionale emesso a seguito di una richiesta di estradizione dell’autorità giudiziaria turca. Dapprima da un paesino della Calabria e poi da Viterbo, dove era ai domiciliari con il braccialetto elettronico, avrebbe coordinato traffici di droga e armi, anche da guerra, sfruttando canali all’estero e conoscenze in Turchia. Avrebbe pianificato omicidi, di cui uno a Berlino, e attentati, come uno fallito a una fabbrica di alluminio alle porte di Istanbul, ma mai in Italia.

Secondo la polizia di Ankara, Boyun è a capo di un’organizzazione criminale radicata in Turchia ed è accusato di vari delitti, tra cui omicidio, minacce, lesioni, associazione a delinquere e violazione della legge sul possesso di armi. Boyun ha sempre respinto le accuse, dichiarandosi un perseguitato politico di origini curde e chiedendo protezione internazionale all’Italia. La sua vicenda ha generato una controversia tra Italia e Turchia, con quest’ultima che ha richiesto l’estradizione. Richiesta che è stata rigettata dal tribunale di Bologna e poi anche dalla corte di cassazione.

I giudici della corte di cassazione hanno motivato il rigetto della richiesta di estradizione richiamando nelle motivazioni una sentenza corte europea dei diritti dell’uomo del 2016, sottolineando il rischio che Boyun, se rimpatriato in Turchia, potesse essere sottoposto a tortura o trattamenti inumani o degradanti.