Emergenza Donna

Viterbo, Codice Rosa infranto: vittima di violenza abbandonata per 12 Ore al Pronto Soccorso, servizio psicologico sospeso per “festa”

Una donna picchiata dal compagno e portata al pronto soccorso di Belcolle ha atteso invano per oltre mezza giornata il supporto psicologico dovuto alle vittime di violenza, a causa di una sospensione "sperimentale" del servizio ASL nei giorni festivi e notturni.

Viterbo, Codice Rosa infranto: vittima di violenza abbandonata per 12 Ore al Pronto Soccorso, servizio psicologico sospeso per “festa”

Sabato scorso, una giornata che avrebbe dovuto celebrare la festività di Ognissanti, si è trasformata in un calvario di disperazione e abbandono per una donna nel Viterbese. Picchiata violentemente dal compagno, è stata soccorsa e condotta dai carabinieri al pronto soccorso di Belcolle, un luogo che, per le vittime di maltrattamenti e abusi, dovrebbe rappresentare un porto sicuro e il primo anello di una catena di protezione e supporto. Per casi come il suo, viene prontamente attivato il “codice rosa”, un protocollo d’emergenza pensato per garantire assistenza multidisciplinare immediata, che include imprescindibilmente il sostegno psicologico. Tuttavia, per questa donna, l’attivazione del codice rosa si è rivelata una promessa vuota, l’inizio di un’attesa straziante che ha messo in luce una falla preoccupante nel sistema di tutela delle vittime.

Il “codice rosa” e l’incomprensibile sospensione dei servizi asl

Il “codice rosa” è un percorso di accesso al pronto soccorso dedicato alle vittime di violenza, che mira a garantire un’accoglienza protetta, cure mediche tempestive e, soprattutto, un supporto psicologico immediato per aiutarle a elaborare il trauma e avviare un percorso di recupero. La sua attivazione implica la pronta disponibilità di figure professionali specializzate, tra cui psicologi, proprio per intervenire in momenti di estrema vulnerabilità. Ciò che è emerso al pronto soccorso di Belcolle è però sconcertante: la donna picchiata dal compagno non ha ricevuto il sostegno psicologico previsto. La ragione di questa gravissima lacuna risiede in una decisione della ASL di Viterbo che, per l’intero mese di novembre, avrebbe sospeso in via “sperimentale” il servizio di pronta disponibilità dello psicologo dedicato a questa delicata procedura durante i giorni festivi (e sabato era, appunto, il 1° novembre) e nelle ore notturne, dalle 20 alle 8 del mattino successivo. Una sospensione che solleva interrogativi profondi sulla priorità data alla tutela delle vittime di violenza. L’assenza di un tale presidio in momenti di vulnerabilità acuta può avere ripercussioni significative sul benessere psicologico e sulla capacità di reazione delle vittime, minando la loro fiducia nel sistema di supporto.

Un’attesa interminabile e la beffa delle risorse inutilizzate

La vittima ha atteso invano per oltre dodici ore al pronto soccorso, ore che per chi ha subito un trauma simile si dilatano in un’eternità fatta di angoscia, paura e solitudine. Un’attesa che si scontra violentemente con l’urgenza e la delicatezza della sua condizione. Dodici ore trascorse in un limbo di incertezza, in un ambiente estraneo e spesso caotico come un pronto soccorso, senza la figura professionale capace di fornire un primo, fondamentale, ascolto empatico e specialistico. A rendere ancora più paradossale e amara la situazione, è la constatazione che la ASL viterbese è annoverata tra le più dotate del Lazio in termini di personale psicologico, vantando ben 64 professionisti in organico. Questo dato fa riflettere amaramente sulla discrasia tra le risorse teoricamente disponibili e l’effettiva capacità del sistema di erogare un servizio essenziale nel momento del bisogno più acuto. La presenza di un numero così elevato di specialisti non si è tradotta in una rete di protezione efficace per la donna, lasciandola sola nel suo dolore, assistita solo da medici e infermieri che, pur encomiabili nel loro operato, non possono sostituire la figura dello psicologo in questi specifici contesti di trauma.

Il rifiuto al telefono: Quando la burocrazia vince sull’umanità

La gravità della situazione è stata ulteriormente evidenziata da un episodio specifico che ne sottolinea la crudezza. Quando uno dei medici presenti al pronto soccorso, riconoscendo la necessità impellente di supporto e cercando di ovviare alla palese mancanza, ha contattato telefonicamente uno degli psicologi dell’UOC (Unità operativa complessa) per chiedere un intervento immediato, la risposta ricevuta è stata un netto rifiuto. Lo psicologo avrebbe chiarito che il servizio di pronta disponibilità era stato cancellato dalla ASL solo pochi giorni prima, rendendo di fatto impossibile l’intervento in giornata festiva e al di fuori degli orari di servizio ordinario. Questo episodio non è solo la testimonianza di un singolo rifiuto, ma il sintomo palese di una direttiva amministrativa che, pur forse concepita con intenti di riorganizzazione, ha avuto un impatto devastante sull’erogazione di un servizio salvavita, trasformando un diritto in una mera opzione condizionata da orari e calendari. La burocrazia, in questo caso, ha palesemente prevalso sull’urgenza e l’umanità, lasciando una vittima senza la dovuta assistenza professionale.

Le conseguenze umane di una scelta amministrativa e il precedente preoccupante

Dopo una lunga e vana attesa, che ha acuito il suo stato di disagio e solitudine, la donna ha lasciato il pronto soccorso senza aver ricevuto il supporto psicologico specialistico di cui aveva disperatamente bisogno. Successivamente, è stata ospitata dai suoi genitori, un’ulteriore conferma della sua vulnerabilità e della necessità di un ambiente protetto, ma anche della lacuna lasciata dal sistema sanitario. L’episodio di Belcolle non è un caso isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di attenzione e dibattito sulla violenza di genere. La scelta della ASL di Viterbo di sospendere un servizio così cruciale, seppur per via sperimentale e con motivazioni ancora da chiarire, rappresenta un precedente estremamente preoccupante. Invia un messaggio distorto alle vittime di violenza, minando la fiducia nelle istituzioni preposte alla loro tutela e rendendo ancora più difficile per loro denunciare e cercare aiuto. In un paese dove i casi di violenza sulle donne sono purtroppo all’ordine del giorno e rappresentano una piaga sociale, negare un supporto psicologico immediato in un momento di acuta crisi equivale a un doppio sopruso, aggravando il trauma e rallentando il percorso di riabilitazione. È fondamentale che le autorità sanitarie e amministrative riconsiderino immediatamente questa decisione, garantendo che il “codice rosa” sia un presidio sempre attivo e pienamente funzionante, senza interruzioni che possano mettere a rischio la sicurezza e il benessere delle vittime, le quali meritano ogni sforzo per essere supportate e protette.