Una svolta significativa si è registrata nel processo per la tragica morte di una giovane ventenne, la cui vita fu spezzata nel dicembre 2020 all’interno di una struttura sanitaria specializzata a Soriano nel Cimino. L’udienza preliminare, che avrebbe dovuto definire l’ammissione delle prove, ha subito un inatteso rinvio a seguito di una modifica sostanziale apportata dal pubblico ministero. Ieri mattina, il pm Massimiliano Siddi ha introdotto una specifica integrazione al capo d’imputazione, rafforzando l’accusa di omicidio colposo nei confronti dello psichiatra e direttore sanitario della clinica, aggiungendo la presunta “omessa gestione del rischio suicidario”. Questa variazione ha spinto la difesa del medico a richiedere un termine per valutare l’opportunità di riti alternativi, prolungando così l’attesa per la famiglia della vittima, che da anni cerca risposte e giustizia.
La tragedia del dicembre 2020: una vita spezzata troppo presto
Cinque anni fa, la giovane vittima era ricoverata presso l’istituto di Soriano nel Cimino, una clinica dedicata alla cura di delicati disturbi alimentari, con la speranza di ritrovare la salute e la serenità. Il suo percorso, tuttavia, si è concluso drammaticamente nel giorno di Santo Stefano del 2020, quando la ragazza si è tolta la vita. Un evento che ha scosso profondamente la comunità e ha sollevato interrogativi cruciali sulla gestione della sicurezza dei pazienti e sulla valutazione dei rischi all’interno delle strutture sanitarie. La procura ha fin da subito avviato un’indagine meticolosa, volta a ricostruire gli ultimi giorni di vita della ventenne e a individuare eventuali responsabilità nella tragedia che l’ha vista protagonista suo malgrado.
Le accuse contro lo psichiatra: negligenza nella gestione del rischio suicidario
Secondo le gravi ipotesi accusatorie formulate dalla Procura di Viterbo, lo psichiatra e direttore sanitario della clinica di Soriano nel Cimino non avrebbe adottato le misure preventive e terapeutiche necessarie, né avrebbe prescritto una terapia adeguata alla complessità del quadro clinico della paziente. L’accusa si concentra in particolare sull’omissione di una corretta e rigorosa gestione del rischio suicidario, un aspetto fondamentale nella cura di pazienti con fragilità psicologiche significative. Nonostante la presenza di chiari segnali d’allarme e le ripetute segnalazioni, non solo da parte dei familiari, ma anche dal personale sanitario interno alla struttura, il medico avrebbe sottovalutato la reale portata del pericolo, portando, secondo la tesi accusatoria, al tragico epilogo.
Le preoccupazioni della famiglia e le rassicurazioni ignorate
Nei giorni immediatamente precedenti alla tragedia, l’allarme dei familiari era divenuto pressante. Il padre della giovane, in particolare, si era più volte rivolto direttamente allo psichiatra, manifestando apertamente dubbi e profonde preoccupazioni sia sulla diagnosi formulata per la figlia, sia sull’effettiva idoneità della struttura ad accogliere e gestire un caso così delicato. Nonostante queste esplicite richieste di chiarimento e di intervento, le risposte ricevute dal genitore sarebbero state rassicurazioni generiche, che purtroppo si sono rivelate infondate e tragicamente insufficienti. Queste conversazioni, ora al centro dell’indagine, evidenziano un presunto deficit di comunicazione e di attenzione che potrebbe aver contribuito a celare la gravità della situazione.
I segnali precedenti: un allarme inascoltato
La vulnerabilità della giovane era nota e preesistente al ricovero nella clinica di Soriano. Prima dell’ammissione nella struttura, la ventenne aveva già compiuto un tentativo di togliersi la vita, un dettaglio di cruciale importanza che, per l’accusa, avrebbe dovuto imporre un regime di sorveglianza e attenzione di gran lunga più stringente e rigoroso. Questo precedente tentativo, unitamente al quadro clinico generale della paziente, avrebbe dovuto allertare il personale medico sulla necessità di monitoraggio costante e di protocolli specifici per la prevenzione del rischio suicidario. Il mancato adeguamento delle misure di sicurezza e di osservazione è uno dei punti centrali su cui si fonda l’accusa di omessa gestione del rischio.
Gli ultimi giorni e il drammatico epilogo
Il crescendo di angoscia raggiunse il suo culmine il giorno di Natale. La ragazza chiamò casa, in lacrime, esprimendo disperatamente il desiderio di andar via dalla clinica. Era un chiaro grido d’aiuto, un segnale evidente di un profondo malessere e di una crescente insofferenza verso la situazione in cui si trovava. Solo due giorni dopo quella straziante telefonata, si verificò il drammatico epilogo. La sequenza temporale di questi eventi, dalla chiamata disperata alla tragedia, è un elemento chiave dell’impianto accusatorio, che mira a dimostrare come, nonostante gli evidenti campanelli d’allarme, non siano state adottate le contromisure necessarie per prevenire il gesto estremo.
L’iter giudiziario e il rinvio a giudizio del solo psichiatra
L’indagine, inizialmente più ampia, aveva coinvolto anche altre figure professionali della clinica di Soriano nel Cimino, tra cui il direttore amministrativo e una psicologa. Tuttavia, a seguito delle valutazioni del Giudice per le Udienze Preliminari (GUP), queste posizioni sono state prosciolte, lasciando come unico imputato lo psichiatra e direttore sanitario. La decisione del GUP ha focalizzato l’attenzione su presunte responsabilità dirette nella gestione clinica e nella valutazione del rischio. La famiglia della vittima, composta dai genitori e dai due fratelli, assistita con determinazione dall’avvocato Amedeo Centrone, ha già annunciato la propria intenzione di costituirsi parti civili nel processo, per far valere i propri diritti e ottenere piena giustizia per la loro congiunta.
La ricerca della verità e la prospettiva dei riti alternativi
La recente modifica del capo d’imputazione da parte del PM Siddi, che ha esplicitato l’accusa di omessa gestione del rischio suicidario, aggiunge un ulteriore strato di complessità al caso, ma mira anche a rafforzare la posizione dell’accusa, specificando in modo inequivocabile la natura della presunta colpa. Il rinvio dell’udienza, concesso per permettere alla difesa di valutare “riti alternativi” – quali il patteggiamento o il rito abbreviato – indica una fase cruciale in cui le strategie legali potrebbero portare a una definizione processuale più rapida o, in alternativa, a un dibattimento più lungo e approfondito. La famiglia della ventenne, intanto, attende con dolore e determinazione che venga fatta piena luce sulla tragedia di Soriano nel Cimino e che vengano accertate tutte le responsabilità.